Si diceva, appunto, pochi giorni fa, che l’8 marzo non è una festa ma un momento di lotta che ricorda le conquiste e i diritti ottenuti e focalizza quanto ancora debba essere fatto per il raggiungimento della parità tra generi. Almeno su questo era auspicabile una trasversalità femminile, una condivisione di vedute che evitasse sproloqui sulle donne che “hanno lottato con grande sacrificio, fino allo sfinimento, perlopiù in silenzio, dentro le proprie case”, proprio perché è quel silenzio che per decenni ha rappresentato il problema da affrontare e risolvere, dando alle donne lo spazio per far sentire la loro voce.
E invece la consigliera Savini, parla di “presunto patriarcato italico”: dal primo gennaio sono state uccise 20 donne, 18 delle quali in ambito familiare/affettivo; di queste, 8 hanno trovato la morte per mano del partner/ex partner. Ecco gli effetti del “presunto patriarcato”. Non pretendiamo che la consigliera abbracci, ma nemmeno comprenda, il senso dei ragionamenti che a tutti i livelli, in ambito sociologico, filosofico, dell’istruzione e della formazione si stanno compiendo sull’uso corretto del linguaggio, eppure dovrebbe sapere che la giunta da lei sostenuta patrocina un seminario di formazione dal titolo “Se solo avessi le parole” che si terrà il 22 marzo con i saluti iniziali dell’Assessora Kusiak per promuovere un linguaggio inclusivo e rispettoso; un franco invito alla consigliera a parteciparvi è d’obbligo. Non pretendiamo nemmeno che conosca il significato di femminismo, esatto opposto di ciò che lei crede (“l’antitesi, intesa come battaglia, uomo/donna”) poiché – come riconoscono peraltro sempre più uomini – il femminismo non è il contrario del maschilismo, ma è la legittima aspirazione a una società equa nella quale tutte le identità siano rispettate e valorizzate.
Quello che invece pretendiamo in considerazione del ruolo che ricopre, è che la consigliera sia informata sulle politiche locali e del governo Meloni, che vanno in senso opposto alla direzione che Savini indica. Vediamole nel dettaglio.
Il governo Meloni ha aumentato l’iva dal 5 % al 10% sugli assorbenti e sui pannolini e ha tagliato 114.000 posti agli asili nido dal Pnrr: ecco la più grande testimonianza di attenzione alle donne e alle famiglie. Per le politiche integrate di scuola, nidi, cura, lavoro si procede solo a colpi di bonus senza nessun intervento strutturale. Peccato però che il bonus mamme sia una beffa, perché è per le lavoratrici con almeno due figli e perché aumenta l’imponibile fiscale, così da far aumentare Irpef e Isee, riducendo l’assegno unico.
Per quanto riguarda il congedo parentale, l’indennità è all’80% solo per un mese (e per un genitore) e al 30% per gli altri nove mesi, tre alla madre non trasferibili, tre al padre non trasferibili e tre mesi trasferibili (dunque scelgono i genitori che ne deve usufruire). Mentre il congedo di paternità in Italia è di 10 giorni e in Spagna 16 settimane. Dati ben sotto la media europea, dove nei paesi Scandinavi e in Spagna il congedo prevede stessi giorni a entrambe i genitori e copre il 100%. Evviva la parità! In ambito pensionistico ha smantellato opzione donna.
Sul fronte della sbandierata azione di contrasto della violenza maschile sulle donne, il governo ha tagliato il 70% dei fondi per la prevenzione della violenza sulle donne (e ricordiamo che in Europa la destra si è astenuta sulla ratifica della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne).
In campo locale non va meglio: si è visto con quanta cura è stato utilizzato un istituto come il Pnrr che come priorità trasversali, in tutte e sei le missioni, doveva contrastare le 3 disuguaglianze: genere, territorio e generazione! Il contrasto alle disuguaglianze di genere è stato inaugurato con una ricaduta solo indiretta e solo su 3 missioni (Istruzione e Ricerca, Rivoluzione verde e transizione ecologica e Salute), mentre nessuna misura diretta è stata utilizzata per promuovere maggiormente materie Stem e per potenziare l’imprenditoria femminile.
Ecco, per “una società sana”, come la vorrebbe Savini, il primo impegno la consigliera dovrebbe chiederlo al sindaco Fabbri e alla presidente Meloni, perché i risultati, al momento, sono di segno opposto.
Ilaria Baraldi – portavoce Conferenza donne democratiche di Ferrara, segreteria provinciale PD
Giada Zerbini – delegata alle politiche di genere per la segreteria comunale PD Ferrara