di Sandra Carli Ballola ( Responsabile migranti- diritti PD Ferrara)
Almeno una parola di com-passione. Umanità prima della politica. Per non dissipare il nostro essere umani tra i flutti dell’egoismo, del cinismo, del calcolo politico.
Avrei voluto sentire parole umane da chi si è assunto la responsabilità e la rappresentanza di questo Paese dopo gli ultimi morti inghiottiti dal mare in burrasca a pochi metri dalla dorata spiaggia di Pantelleria. Due donne, provenienti dal Congo , per cercare, tra ogni sorta di difficoltà, sopruso, sofferenza , insieme ai propri figli, una vita accettabile. Nella foto il bimbo di cinque anni stringe la mano del carabiniere che l’ha soccorso.
Vorrei che ci soffermassimo a pensare prima che sia tardi: intolleranti verso i deboli e molto tolleranti verso i vizi dei potenti? Siamo diventati così? Sicuramente questi atteggiamenti sono nutriti dal populismo degli ultimi anni . L’assenza di politiche sociali e di governo del fenomeno migratorio viene sostituita dal vellicamento della paura e dall’ira, che diventano strumenti di mobilitazione e di creazione del consenso . Il vuoto di buone pratiche viene riempito dalla costruzione artificiale di un nemico concreto, il migrante. E la tecnica risulta efficace, come si è visto.
Non si dice che nel nord-est leghista la realtà è un’altra. Che gli immigrati che lavorano, consentono di pagare le pensioni degli italiani. Solo che li si vuole a basso costo , per cui si agita lo spettro del delinquente perché un lavoratore senza diritti è più debole e quindi ricattabile sul piano economico e psicologico. Infatti mentre si parla di mitragliamenti, il Ministero del Welfare , nel rapporto del 23 febbraio scorso, afferma che da qui ai prossimi 10 anni saranno necessari al nostro Paese 2 milioni di lavoratori stranieri ( circa 100.000 all’anno fino al 2015, poi 260.000).
Noi dobbiamo smascherare questi meccanismi. Nessuno nega che le migrazioni di massa improvvise producano tensioni che non devono essere sottovalutate. E ogni Paese ha diritto a controllare i propri confini e a regolare gli accessi. Ma le tensioni non devono essere sollecitate da una gestione improvvisata e cinicamente strumentale , dimenticando il più elementare rispetto dei diritti umani , come scrive Chiara Saraceno. Quanto è successo a Lampedusa è lampante: dopo aver preannunciato un esodo biblico, il ministro Maroni ha lasciato che l’isola si riempisse a dismisura di tunisini che erano molto meno di quanto lui aveva minacciato. E ha trattato persone migranti come una massa indistinta depersonalizzata da usare come arma di minaccia in vista delle prossime elezioni amministrative in cui invocare maggiore sicurezza.
In realtà siamo difronte ad un passaggio epocale : un’intera regione che va dal Magrehb al Medio Oriente è in fiamme e intere popolazioni molto giovani cercano la loro strada verso la democrazia e i diritti . Sono movimenti sorti dal nulla , folgoranti , contro regimi corrotti e dispotici che avevano stabilizzato malamente equilibri strategici, riconosciuti dall’Occidente per diversi interessi. Chiedono il diritto di libero movimento, in un processo di soggettivazione che è strettamente intrecciato con la democrazia. E’ già avvenuto nella storia: dopo il muro di Berlino ( e Kohl seppe governare le trasformazioni proponendo un patto alla Germania dell’est), con la fuga degli schiavi dalle piantagioni del sud degli Usa, ai servi della gleba in fuga verso l’aria libera delle città, con le migrazioni degli italiani nell’era contemporanea.
Su questi processi ci si sarebbe dovuti interrogare, favorirli e governarli, porsi da protagonisti nel dialogo con le nuove società aperte. L’Italia, per la sua posizione geografica e la sua storia, avrebbe dovuto farsi interlocutore privilegiato dell’Europa rispetto a quanto stava avvenendo in quello che era il mare nostrum. Incalzando l’Europa, che è stata prima muta poi contraddittoria poi assecondante le chiusure degli stati membri. Senza nascondere l’immensa difficoltà che il momento storico ci fa affrontare.
Ma la cultura politica degli idraulici al governo non consente di guardare al sistema Italia nel suo insieme e dentro un quadro di rapporti europei e internazionali. Dopo aver per anni predicato la chiusura delle frontiere Schengen, avere introdotto il reato di immigrazione clandestina e aver praticato i respingimenti collettivi grazie all’accordo con la Libia, dopo aver alterato la realtà dei fatti preannunciando milioni di profughi quando in realtà ne sono arrivati alcune migliaia in cerca di lavoro, ora il governo italiano si trova a dover mendicare il sostegno dell’Europa, a dover disapplicare il reato di immigrazione clandestina, e , con i permessi temporanei, a dover effettuare quella che di fatto è una sanatoria, per poter provare a gestire la situazione che si è creata.
E’ il fallimento della politica dell’immigrazione del governo italiano in Italia e in Europa.
Manca una visione lungimirante e competente e responsabile in grado di affrontare quanto sta avvenendo. Quando invece le sfide sono colossali. Occorrono politiche di accoglienza, di integrazione, di cooperazione internazionale , di cosviluppo. Serve un intervento concordato con l’Europa che dia vita ad accordi di cooperazione economica e sociale con i paesi del sud del Mediterraneo. Si definiscano poi insieme i limiti , superati i quali scatta, da parte dell’UE, il riconoscimento della solidarietà nella gestione dell’emergenza, in modo da ripartire sia le risorse economiche sia le quote di immigrati in arrivo e di profughi, su criteri condivisi in adozione della direttiva 55 del 2001. Direttiva che , nella sua applicazione, richiede non solo il rispetto dei requisiti tecnici, ma anche la volontà politica degli Stati; volontà che si raggiunge con un confronto tempestivo e credibile.
Oggi stiamo assistendo a cambiamenti epocali a cui arriviamo impreparati, forse il futuro che ci attende ci obbligherà a fare i conti con un prossimo non sempre simile a noi.
Nel nostro essere umani c’è il principio di solidarietà , senza cui è a rischio la stessa appartenenza al genere umano, dal momento che questa ha come fondamento il riconoscimento di se stessi nell’”altro”. (Karl Jaspers). Ci riecheggiano nel cuore le parole finali del giornalista ucciso ieri nella striscia di Gaza.