di Paolo Calvano
Finalmente c’è un’Italia che ha deciso di indignarsi. Un’indignazione che parte dalle donne, ma che tra le donne non può finire. Un’indignazione che oggi attraverserà tutto il Paese e di cui gli uomini hanno il dovere di essere co-protagonisti. Per questo sarò in piazza. Perché nella mia dimensione privata, non accetto che un uomo ritenga che grazie al denaro e al potere, si ottenga il possesso di una donna, utilizzandone il corpo e svilendone la dignità.
Non siamo tutti uguali, e per usare le parole di Massimo Gramellini “il mondo reale è fatto di uomini e donne che amministrano il proprio corpo con pudore e dignità, che non votano necessariamente tutti dalla stessa parte, che passano la loro vita a cadere e rialzarsi senza che nessuna tv, rivista o inchiesta si occupi del loro cammino”.
Sarò in piazza anche nella mia dimensione pubblica, perché è anche responsabilità della politica se nel Paese si è diffusa e radicata una cultura rovesciata nei valori. Troppo poco si è fatto negli anni ’90, anche da parte dei partiti progressisti, per evitare che il predominio mediatico nelle mani di un uomo solo potesse incidere, come invece è drammaticamente avvenuto, sulla cultura del Paese e sui suoi valori.
Troppo poco si sta facendo attualmente per affermare un modello politico e culturale alternativo. La piazza di oggi serve a ribadire che in politica e nella società le persone devono essere valorizzati per merito, capacità e competenze. Essere in piazza oggi significa anche ascoltare quell’Italia che pretende una classe dirigente non selezionata come un casting televisivo, ma che fa dell’onestà, della sobrietà e della serietà l’architrave del proprio impegno pubblico.