La relazione di Paolo Calvano alla Direzione Provinciale del 29 aprile 2013
Non posso non aprire questa Direzione esprimendo tutta la mia e la nostra vicinanza ai carabinieri colpiti ieri davanti a Palazzo Chigi.
Spero vivamente possano riprendersi in fretta, lo spero per loro e per le loro famiglie.
Vittime del gesto di una persona certamente non equilibrata, sicuramente una persona disperata, come detto dal pm dopo l’interrogatorio; un gesto che comunque segna drammaticamente, se ce ne fosse ancora bisogno, il clima sociale che sta attraversando il nostro Paese.
Un clima sul quale nessuno deve speculare, perché altrimenti il rischio è quello che diventi ulteriormente incontrollabile. Affemazioni come quelle, ad esempio, del consigliere di Fratelli d’Italia di Berra, Grillanda, non nuovo a sparate di questo genere, una sorta di Giovanardi in salsa locale, sono da irresponsabili, non fanno altro che acuire un clima che, invece, va riportato dentro l’alveo della protesta legittima, forte, ma pacifica.
Spero che anche il partito di Grillanda prenda nettamente le distanze.
Un clima che si riversa soprattutto contro la politica, e contro le istituzioni più in generale, dalle quali i cittadini si aspettano risposte rapide e soprattutto efficaci, che siano in grado di incidere positivamente sulla qualità della vita.
Mentre noi siamo qua, il Governo di Enrico Letta sta chiedendo la fiducia alla Camera dopo il giuramento di ieri.
Un Governo che dovrà dare risposte urgenti ed immediate sia sul versante sociale che su quello istituzionale.
Certamente non mi sfugge che su questo Governo il giudizio del PD possa non essere unanime e la Direzione di oggi serve anche per confrontarsi e discutere al nostro interno.
Nella mia relazione proverò ad offrire una traccia di tale discussione, ma soprattutto proverò ad offrire una posizione chiara del Partito di Ferrara, sul governo e sul Congresso.
Siamo un partito senza più segretario nazionale.
Bersani, dopo la triste vicenda del Quirinale, ha rassegnato le proprie dimissioni.
Inevitabili e doverose.
La vicenda del Quirinale ha rappresentato, purtroppo, l’epilogo di quasi 60 giorni di agonia del nostro partito, che non è riuscito fino all’altro giorno a trovare una strada per dare un governo al Paese.
Un’agonia dovuta ad una mancata vittoria, che alla luce delle premesse, doveva essere scontata e importante. E per questo, già come esplicitato nella precedente Direzione, non può che essere etichettata come una cocente sconfitta, attutita solo dal fatto che lo 0,3 per cento di voti in più, ci ha offerto una maggioranza parlamentare grazie ad una legge elettorale che ha dimostrato ulteriormente quanto sia una ” porcata”, e per questo non più utilizzabile nelle prossime elezioni.
La sconfitta elettorale, ha poi assunto i contorni della “tragedia politica” con la mancata elezione di Romano Prodi alla carica di Presidente della Repubblica.
Una tragedia e una ulteriore porcata.
L’affossamento del fondatore del Partito Democratico da parte dei 101 franchi tiratori, o meglio dei “ben celati traditori”, è avvenuto in modo subdolo e inqualificabile.
Chi ha votato contro non ha avuto il coraggio di metterci la faccia e, ancor peggio, ha sostenuto poche ore prima quella candidatura con un voto unanime, per poi affossarla nel segreto dell’urna.
Non so chi siano i colpevoli, ma certamente sono consapevole della cultura, o meglio della subcultura, che li ha guidati.
Chi ha voluto colpire in quel modo Prodi, ha voluto colpire innanzitutto il PD!
Il progetto del PD!
È la cultura di chi in questo partito non ci ha mai creduto che ha affossato Prodi.
Una cultura trasversale, minoritaria nel PD, ma ancora presente. Una cultura che preferiva le case di appartenenza al PD, che ha sposato questo progetto solo perché non aveva alternative, o solo per opportunismo.
Non i giovani o gli inesperti ne sono stati la causa, ma i “cattivi professionisti” della politica, sono stati gli artefici di questo “delitto politico”.
Sarà indubbiamente un tema da Congresso, un Congresso – e dopo ci tornerò – che dovrà essere indetto il più rapidamente possibile.
Sono francamente stupito di quella parte del dibattito nazionale interno al nostro partito che ha equiparato la mancata elezione di Prodi a quella di Marini.
C’è chi ha accusato i segretari provinciali e regionale dell’Emilia Romagna di non aver saputo guidare le proprie federazioni in questa vicenda – quella di Marini, intendo – di essersi fatti influenzare da Twitter e da Facebook.
Ho spiegato, in segreteria regionale e nell’incontro dell’altro giorno a Roma, che la proposta Marini, non è stata affossata da Twitter, non dalla “rete”, ma da cittadini ed elettori in carne ed ossa che, tra la notte e la mattina successiva, hanno inondato le federazioni e i loro segretari di telefonate e messaggi, nei quali esprimevano tutta la loro contrarietà rispetto a questa scelta.
Mi sono fatto interprete di questa contrarietà, l’ho resa esplicita. Ai dirigenti nazionali del partito e ai nostri parlamentari: ho spiegato loro che la candidatura di Marini è apparsa frutto di un accordo di basso profilo, come se fosse – nonostante Marini sia un membro del PD e una persona autorevole – il prezzo da pagare a Berlusconi, proprio nel momento in cui veniva sbandierato il governo del cambiamento; una candidatura, oltre al resto, che aveva spaccato fin dalla notte il pd. Approvata con 220 voti a favore: che non è neanche la metà più uno dei grandi elettori.
Abbiamo chiesto al partito nazionale di fermarsi, ma non ci hanno ascoltato. Hanno voluto tirar dritto, determinando quello che poi è successo.
Ed ora qualcuno vorrebbe accusare NOI di non saper guidare il partito.
Io invece penso che sia stato più un problema di questa dirigenza nazionale del PD di non aver saputo ascoltare il partito sul territorio e di non aver saputo dare autorevolezza e credibilità alla loro proposta, di aver “ballato “ troppo tra una linea politica e l’altra determinando confusione nel partito e fra i cittadini.
Non abbiamo avuto timore ad evidenziarlo, pubblicamente e nelle sedi opportune.
So poi che tra di noi c’è anche chi si chiede perché il PD non sia arrivato a candidare stefano Rodotà.
Su questo è evidente innanzitutto un punto: o Rodotà diventava subito la candidatura del PD, ma a quel punto non si sarebbe capito perchè non proporre subito Prodi, oppure il suo recupero successivo diventava impensabile e impercorribile.
Ma perché Rodotà non è stato la proposta del PD? Perché anche quella, al pari di quella di Marini, avrebbe spaccato il partito, regalando un altro terribile spettacolo all’Italia, e ci avrebbe anche attribuito la responsabilità di non avere eletto, in quel caso, un presidente che, subdolamente, Grillo aveva fatto passare come quello votato dal popolo; salvo poi comunicarci, a partita chiusa, che aveva preso 4800 click, meno delle preferenze prese da gran parte dei parlamentari PD alle primarie.
Queste tristi vicende sono state l’esplicitazione dello stato in cui versa un gruppo dirigente nazionale, che ha perso completamente il controllo e la capacita’ di guida.
E a quel punto la scelta di Napolitano non e’ stata altro che la definitiva e pubblica ammissione dei vertici nazionali di non riuscire più a guidare il partito.
Il Presidente Napolitano va ringraziato per aver accolto quella richiesta, che non poteva non comportare da parte sua la controrichiesta esplicita di una presa di responsabilità da parte delle forze politiche sul futuro governo da dare al Paese.
E oggi, dopo quella richiesta rivolta a lui, non possiamo non tenere in considerazione quanto da lui detto alle Camere nel suo discorso di insediamento.
Un discorso storico, un j’accuse fortissimo nei confronti della politica, dei partiti e del Movimento 5 Stelle. Un discorso rivolto ai fallimenti della politica e di un’intera classe dirigente.
Un discorso che rimarrà nella storia, come ogni discorso che abbia cambiato il corso degli eventi. Il corso degli eventi, infatti, dopo quel discorso èinevitabilmente cambiato, e non possiamo far finta che non sia così.
Nel giudicare, quindi, la scelta del partito di sostenere l’incarico e il governo del nostro Vice Segretario Enrico Letta non si può prescindere dalle parole del Presidente Giorgio Napolitano.
Ha spiegato chiaramente al Paese che di fronte a tre forze con uguale peso, non si può pensare di dare un governo al Paese senza passare per un confronto e un accordo fra almeno due delle tre forze, dicendoci al contempo che sarebbe irresponsabile presentarsi alle urne con questa legge elettorale, per relegare di nuovo l’Italia all’ingovernabilità.
Di queste tre forze, una si e’ chiamata fuori da ogni responsabilità, ha congelato i suoi voti. Ha deciso di essere la forza che, a prescindere, dice no. Che sfila di fianco ai lavoratori della Berco, gli mette magari una mano sulla spalla, ma si rifiuta di sedersi ad un tavolo per capire come dare risposte concrete a quei lavoratori e a quelle famiglie.
Questo oggi e’ il Movimento 5 Stelle. Un Movimento che si limita a dire NO, che propone di rivedere il Fiscal Compact, ma che non sa neanche cosa sia!
Di fronte a questo atteggiamento non possiamo pensare di poter rimandare immediatamente il Paese al voto, senza modifiche alla legge elettorale, senza una riforma delle istituzioni e senza aver dato risposte ai bisogni urgenti dell’economia e, aggiungo io, degli enti locali.
Un ritorno al voto, in particolare conq uesta legge elettorale, non dimentichiamoci che è proprio quello che vorrebbe il centrodestra.
È questo il profilo che deve avere il “Governo di servizio” messo in campo da Enrico Letta, un governo a fare poche cose indispensabili per il Paese.
Non può essere immaginato, da nessuno, come un governo di legislatura.
Già faticano molto i 9 milioni di elettori del PD a comprendere il solo dialogo col PDL….
Il loro disagio, che è quello di molti dei nostri militanti, e’ legittimo, comprensibile e ampiamente giustificato. Tutti fatichiamo ad accettare un accordo col PDL. Nessuno, a partire dal sottoscritto, potrebbe sopportare e accettare un accordo di lungo periodo col PDL.
Del resto, lo avevamo detto, lo abbiamo esplicitato anche nella nostra Direzione. Non possiamo pensare di mettere in piedi un rapporto di lungo periodo col PDL o di farne una strategia, e tale deve rimanere la nostra posizione.
Ci sono valori che ci dividono e che ci rendono diversi e che ci fanno essere su campi opposti. E così deve continuare ad essere.
E’ chiaro che un accordo temporaneo in questa fase è giustificabile e sostenibile solo perché non ci sono le condizioni istituzionali e sociali per tornare a votare.
Non ci sono perché il Paese reclama risposte urgenti. Reclama un’efficacia della politica che purtroppo in questi vent’anni è mancata…certamente più da parte del cdx che del csx…ma che, nella sostanza, è mancata.
La disoccupazione giovanile e quella strutturale, il blocco del sistema del credito, la mancanza di liquidità per le imprese e per le famiglie, la mancata competitività delle imprese, l’elevata burocratizzazione di ogni passaggio amministrativo…sono solo alcune delle emergenze del Paese.
Ma, mi pare, l’emergenza più grave la mancanza di speranza, della possibilità di poter guardare ad un orizzonte temporale che vada oltre le 24 ore…mancano le sicurezze di base che un giovane, una famiglia, chiede al proprio Stato per poter guardare con fiducia al futuro.
È un’emergenza che tocca da vicino il nostro territorio. Lo sanno bene i nostri sindaci, lo toccano con mano tutti i giorni. In ognuna delle loro giornate di ricevimento del pubblico, in ogni occasione in cui trovano un cittadino si trovano di fronte un problema, che è sempre più un problema di prospettiva e non solo una richiesta puntuale o un bisogno immediato.
Lo vediamo sul nostro territorio con le grandi crisi aziendali di Berco e Basell, ma anche con quelle più nascoste, meno note. Dai piccoli artigiani che non sanno dove sbattere la testa ai 14 lavoratori di Aimeri licenziati dalla sera alla mattina e che proprio il Primo Maggio rischiano di non avere più un lavoro.
Cosa facciamo di fronte a queste emergenze? Diamo una pacca sulla spalla, porgiamo la nostra solidarietà? Si certo, ma non basta più! Continuiamo a sfilare con loro? Si certo, ma poi?
Sta anche qui la ragione del si del PD al “governo di servizio”, un si che è arrivato non solo da chi ha le maggiori responsabilità per essere arrivati a questo punto, e quindi non è in grado di proporre alternative, ma anche da parte di chi legittimamente potrebbe reclamare ben altro.
Mi riferisco a Matteo Renzi, che per primo ha sostenuto l’ipotesi del Governo Letta, mettendo davanti ad ogni altra cosa l’interesse del Paese.
Un atteggiamento maturo che potrà essere certamente utile al Paese e al Partito Democratico.
E al contempo ho apprezzato il Presidente del Consiglio Enrico Letta, quando fin dal primo minuto ha detto chiaramente al Paese che non sarebbe stato un “governo a tutti i costi”….che quindi non avrebbe accettato qualsiasi imposizione da parte del PDL, e che lo stesso PD non avrebbe accettato qualsiasi condizione pur di fare il Governo….
E nella composizione del governo questo atteggiamento è diventato esplicito.
Fin da subito lo abbiamo detto, come segretari provinciali, e lo abbiamo fatto nelle sedi preposte, nell’incontro che finalmente hanno organizzato, solo qualche giorno fa a Roma, a distanza di due mesi dalle elezioni, con tutti i territori. E qui mi permetto di dire a voi quello che ho detto a Roma tre giorni fa: i segretari provinciali non possono essere chiamati solo quando la frittata è fatta. Dopo 60 giorni è arrivato solo ieri il primo momento di confronto con chi è sul territorio. E questo è un tema non da poco: da porre immediatamente all’attenzione del partito nazionale: la reggenza, che auspico brevissima, del PD, non può essere decisa da pochi, ne può permettersi di non dare un ruolo da protagonisti a chi sta sul territorio!
Abbiamo chiesto che questo Governo avesse elementi di innovazione e di novità.
Abbiamo chiesto che non ci fosse nessuno dei ministri politici che fosse stato protagonista degli ultimi vent’anni.
È un messaggio che abbiamo lanciato al PDL, ma che aveva una valenza importante anche in casa nostra.
Una richiesta rispetto alla quale il PDL, con l’eccezione di Alfano che ovviamente pareggiava il conto con lo steso Letta, ha dovuto arrendersi.
Un’impostazione a cui hanno dovuto arrendersi anche quelli che, nel PD, contavano sull’ultimo giro di valzer!
Una richiesta che Letta quindi ha saputo ascoltare e sostenere, come ha saputo ascoltare la richiesta dei sindaci di vedersi rappresentati. Una domanda partita con forza anche da Ferrara.
La squadra di governo, che ieri ha Letta presentato, ha proprio questevcaratteristiche: una squadra giovane, competente, rinnovata rispetto agli ultimi vent’anni e con una rappresentanza femminile importante e qualificata.
E per noi c’è ovviamente un motivo di soddisfazione in più: dopo decenni Ferrara ha di nuovo un ministro. Nel fargli i complimenti, faccio anche il mio miglior “in bocca la lupo” a Dario Franceschini, ricordandogli che nel suo delicato e difficile ruolo, Ferrara deve essere sempre in cima ai suoi pensieri…ne abbiamo bisogno.
Una soddisfazione che si accompagna a quella degli altri tre emiliani in squadra, da Josefa Idem, al sindaco Graziano Delrio fino a Cécile Kyenge.
È sufficiente una buona squadra?
È’ certamente una condizione per guardare con più fiducia al Governo, anche per gli scettici, ma ora servono i fatti. In modo urgente ed efficace. Li reclama il Paese.
In primo luogo, una nuova legge elettorale e tutte le riforme istituzionali e costituzionali utili, dalla fine del bicameralismo perfetto alla nascita del Senato delle Regioni, per arrivare alla riduzione del numero dei Parlamentari e a un ulteriore serie di tagli ai costi della politica; poi, urgentissime, le misure per rilanciare le imprese e l’occupazione, con la diminuzione del peso fiscale sul lavoro e azioni che consentano di diminuire la disoccupazione; quindi, attraverso una più equilibrata distribuzione delle risorse pubbliche, dare sollievo alle persone e alle famiglie vessate da una fiscalità pesantissima e da un potere d’acquisto sempre minore.
La competenza del Primo Ministro mi fa dire che dobbiamo avere fiducia e se possibile, che dobbiamo evitare di regalare gli auspicati buoni risultati di questo Governo a Berlusconi. Evitiamo che i nostri “distinguo”, spesso improntati piu al futuro Congresso che ad altro, diventino l’occasione per Berlusconi per portarsi a casa anche quanto di buono, si spera, potremo fare.
Le cose vanno fatte e vanno fatte in fretta.
Per dare risposte al Paese, ma anche perché non possiamo pensare di tenere in piedi questo Governo per un’intera legislatura.
Certo andrà valutato nei fatti, ma le differenze tra noi e gli altri sono tante e non possono contemplare in alcun modo un governo di lunga durata.
Un messaggio che lancio anche sul livello locale.
Che nessuno si immagini che quanto sta succedendo oggi in via emergenziale nel Paese, possa trovare forme di replicazione a livello locale.
Non ci sia nessuno che si sogni di fare accordi di larghe intese sui livelli territoriali: sono i valori che ci differenziano e che continuano a differenziarci anche se ci siamo assunti in questa fase una temporanea responsabilità condivisa di servizio al Paese.
Sui livelli locali la differenza tra il nostro modo di governare e quello degli altri è sotto gli occhi di tutti. E questa fine di legislatura deve essere l’ulteriore occasione per rimarcarlo.
Chiedo anche alla stampa di monitorare quanto le amministrazioni fanno, ma di farlo non solo cercando lo scandalo, ma anche valorizzando quanto di buono si sta provando a fare.
Quanto di buono i nostri sindaci e le amministrazioni locali in condizioni disperate stanno facendo.
Cito ad esempio solo un tema: quello dei costi della politica
Rivendico quanto di importante abbiamo fatto: chi è riuscito a fare quello che ha fatto la nostra realtà provinciale? Non credo siano tanti
In pochissimi anni abbiamo drasticamente ridotto numero di aziende e consigli di amministrazione. Non ultimo, quanto fatto di recente dalla Holding di Ferrara e quanto sta facendo il Cadf, dove dagli attuali 13 consiglieri sparsi in tre aziende diventeranno, a breve, 4 in due sole aziende. Cito questi ultimi due esempi, che arrivano dopo il taglio di molti cosnigli di amministrazione in città, la riduzione del numero dei cosniglieri in tutte le altre aziende del territorio e il taglio netto agli stipendi dei consiglieri di amministrazione, al quale – e qui mi permetto di rivolgermi ai sindaci – non si deve aver timore di aggiungere azioni volte alla riduzione degli stipendi dei manager pubblici:devono essere stipendi da manager, ma, in quanto pubblici, non possono non tenere conto delle difficoltà del sistema pubblico e delle richieste di sobrietà che ci provengono dai cittadini. Anche loro se ne devono far carico, e se resisteranno, sappiate cari sindaci che avrete il Partito democratico dalla vostra!
Queste scelte le abbiamo prese noi, spesso senza neanche il supporto degli altri partiti.
Anche questa è una differenza tra noi egli altri, anche per questo ognuno rimarrà nel suo campo, anche dopo avere fatto questo governo di scopo, un governo di servizio.
Servizio, una parola che deve ritrovare piena centralità nella politica e che spero torni centrale anche nel nostro prossimo Congresso.
Un Congresso fondamentale per il nostro partito, un Congresso certamente di “rifondazione”.
Un Congresso che va convocato rapidamente. E’ questa un’altra richiesta che credo la nostra Direzione debba sostenere in modo compatto.
Vi informo, però, che questa posizione non è quella dominante a livello nazionale. E’ la posizione dominante in Emilia-Romagna, ma non a livello nazionale. Almeno per adesso.
Potrebbe diventarlo nel corso del dibattito nazionale, ma per ora partiamo da una posizione minoritaria.
E, invece, io ribadisco che va fatto rapidamente. Non possiamo rimanere troppo tempo a “bagno maria”. Ogni tensione rischia di scaricarsi inevitabilmente sul Governo appena insediato, e sarebbe un bell’autogol quello di dar l’impressione di condizionare il lavoro del governo in base alle nostre dispute interne. Un’impressione che dovremo saper evitare anche nel caso in cui si faccia subito il Congresso.
Per questo dobbiamo aprire in fretta la fase congressuale, anche per aprire nel partito quella fase e quel processo di definitivo rinnovamento che si è visto anche attraverso le scelte che il partito ha fatto sulle figure di Governo.
L’apertura di questo proceesso di rinnovamento profondo e reale va fatto e completato anche nel partito.
Serve certamente un salto generazionale, ma non può essere solo quello, sarebbe un errore. Serve soprattutto un salto culturale, anche nel partito nazionale.
Il PD lo si è fatto di più sul territorio che a livello nazionale. Abbiamo dato la netta sensazione che il PD esista più tra i militanti e gli elettori, che non tra i vertici del partito.
Un PD che anche a Ferrara ha dimostrato che ci sono le condizioni per trovare una cultura condivisa, che non significa unanimismo, ma un substrato politico e culturale comune nel quale confrontarsi.
Non abbiamo mai rinunciato a Ferrara a fare questo. In ogni passaggio, dal Congresso alle recenti primarie. Purtroppo non è ciò che è successo ad altri livelli.
E’ mai possibile che a distanza di oltre 5 anni si parli ancora in modo cosi insistente delle famiglie di appartenenza??
Ma fino a quando? Fino a quale generazione i nostri figli dovranno portare il marchio del PCI, dei DS, della DC o della Margherita?
Quando sarà che potrò finalmente dire: io sono del PD? Punto! Perchè io mi sento innanzitutto del PD!
E’ ciò che sento, e che sono certo sentano anche tanti tra voi.
Negli ultimi anni purtroppo, dopo il primo avvio, abbiamo perso la voglia di ricercare una cultura condivisa. Quella voglia che era molto piu forte quando si è deciso di realizzare l’Ulivo.
Allora il confronto fu davvero un confronto di idee.
Ma ci pensate: abbiamo fatto il PD e ce l’hanno consegnato nudo, spogliato di qualsiasi patrimonio, perche’ non si sa mai che si decida di tornare indietro.
E’ questo pensiero che ha affossato Prodi. E’ questo elemento che deve essere centrale nella discussione congressuale. E’ l’identità che vogliamo dare al partito il tema principale su cui dobbiamo confrotnarci.
Quello di spogliarci di qulasiasi patrimonio, è stato il “peccato originale” della fondazione del Pd. Un peccato i cui effetti negativi si faranno sentire per lungo tempo.
Pensate che ora ci troviamo ad affrontare l’inevitabile riforma dei partiti e del loro finanziamento e la grande crisi anche economica che ci attraversa, privi di ogni patrimonio.
E se anche a Ferrara saremo costretti a cambiare sede, sara’ anche per questo motivo.
Va affrontato questo nodo, perché, purtroppo, c’è stata un’intera classe dirigente che ha abdicato alla sua missione principale: creare una cultura condivisa del nostro partito. Una classe dirigente che si è, invece, rinchiusa in vecchi schemi e li ha prorogati, che ha fatto dell’oligarchia uno modo di Governo.
Ora spetta a un’altra generazione, politica e culturale ancor più che anagrafica, recuperare quella missione.
Attivando un processo da affronatare in modo non unanimistico, ma attraverso un confronto franco, chiaro e trasparente, non solo sulle persone, ma soprattutto sulle linee politiche. Che potranno essere tra loro anche diverse, perchè se ci immaginiamo un partito grande non può essere diversamente; in caso contrario, domina la linea del “meno siamo meglio stiamo”….una linea ottima per garantire se stessi, meno efficace se si vuole offrire una prospettiva di Governo al Paese.
Lo dico anche a chi oggi pensa di avere il diritto di decidere chi sale e chi scende dal PD, magari pensando di avere un diritto in piu di altri nel dare il biglietto. Nessuno ha questo diritto, perchè il PD deve essere un partito ad ampia cittadinanza, in cui le posizioni e le idee si confrontano, facendone emergere una di maggioranza e altre di minoranza.
Credo sia in quell’alveo che ci si debba muovere, se si ha la voglia di costruire un altro PD e non di “uccidere politicamente” chi la pensa in maniera diversa o fare ogni volta una resa dei conti.
Il Congresso serve per misurare il consenso attorno ad una linea politica o un’altra.
Le linee politiche dentro un partito si confrotnano, nel corso della storia possono anche cambiare, alternarsi, così come avviene nei grandi partiti riformisti della sinistra europea. Così come avviene nel Labour Party o nel Partito Democratico Americano, o in Francia.
E’ sufficiente guardare cosa è successo nel labour party negli anni ’90 o negli ultimi anni.
Il congresso dovrà essere innanzitutto questo, un grande momento di confronto di idee, per dare un contributo al nostro Paese, oggi così in difficoltà.