di Giulia Bertelli (Responsabile Welfare e Sanità PD Ferrara)
In riferimento al caso del bambino ritirato dall’asilo a seguito della presenza di un’assistente con sindrome di Down, di cui si è già tanto discusso, e al conseguente stupore a seguito del punto di vista espresso dal Signor Masotti, mi permetto una riflessione.
Faccio presente che un inserimento lavorativo viene seguito con grande attenzione sia dal datore di lavoro, che dal tutor, che dall’associazione/ente che ne ha organizzato l’inserimento.
Trovare un lavoro, un’occupazione, un’attività assieme ad altre persone ci consente di trovare il nostro posto nel mondo. Non si tratta, in particolar modo per persone con difficoltà, di un semplice strumento per ottenere una paga, ma di un’occasione di vita per sentirsi indispensabili agli altri.
Molto spesso le persone con difficoltà, specialmente se inserite in contesti delicati come quello di cura dei minori, vengono tenute monitorate molto di più rispetto agli altri lavoratori; se effettivamente esistono delle incapacità sarà cura del responsabile porvi rimedio.
Non è mia abitudine mettere alla gogna un’opinione personale, ma credo che sia opportuno leggerla come un campanello d’allarme sociale. Dichiarazioni del genere sono strette parenti del caso, ancora da accertare, di un’operatrice ASP che avrebbe detto ad un inserimento lavorativo infortunato che “merita di morire di fame”.
Già da alcuni secoli abbiamo preso atto del fatto che nella comunità abbiamo capacità diverse, e che è compito dello Stato tentare di mettere le persone nelle condizioni di dare il meglio di se.
E’ di questo che si occupa il sistema di welfare che abbiamo scelto, aperto alla creazione di nuove opportunità e sempre meno assistenzialista.
Il compito di ognuno di noi è quello di difendere la dignità e l’autorealizzazione delle persone, mettendole alla prova, perché spesso la volontà di una persona supera i propri limiti fino a stupirci.