Il calvario degli Enti Locali

12 Aprile 2012

di Paolo Calvano (Segretario Provinciale PD Ferrara)

Nelle ultime settimane ho letto diversi appelli da parte di forze economiche e sociali, sia a livello nazionale che a livello locale, volte a chiedere ai Comuni criteri di determinazione della tassazione locale che tengano conto delle difficoltà’ delle diverse categorie. Appelli e richieste legittime, soprattutto considerando la fase di grave recessione che sta attraversando il Paese.

Ritengo pero’ altrettanto legittimo fare una riflessione, numeri alla mano, sulla situazione in cui si trovano gli enti locali, i Comuni e le Province in primis, dopo anni di manovre governative che hanno trovato proprio negli enti locali i soggetti ai quali chiedere maggiori sforzi. Tre numeri per spiegare questo.

Il primo numero: nel 2010 il deficit registrato dal bilancio dello Stato e’ dipeso per il 90% dall’amministrazione centrale e solo il restante 10% e’ attribuibile alle amministrazioni locali. A fronte di questo rapporto l’intervento governativo volto al taglio della spesa e’ stato altamente sproporzionato: gia’ a partire dal Governo Prodi ( onde evitare di essere accusato di parzialità) e in modo ancor più accentuato con Tremonti, lo sforzo per il risanamento dei conti pubblici e’ stato chiesto in gran parte agli enti locali pur non essendone questi i principali responsabili. Un po’ di equità anche in questo caso non avrebbe fatto male!

E qui arriva il secondo numero: dalla Ragioneria dello Stato emerge in modo molto evidente che le manovre messe in atto lo scorso anno per risanare le finanze della Repubblica prevedono un aumento delle entrate per le amministrazioni centrali pari all’88% , a fronte di una riduzione delle loro spese dello 0,8%.

E qui arriva il terzo ed ultimo dato: prendendo in esame i bilanci dei comuni di Ferrara, in tre anni la spesa corrente e’ stata ridotta in media tra il 20% e il 25%, riducendo il debito e cercando di mantenere inalterato l’impegno sul welfare.

Lo Stato centrale partecipa al taglio della spesa pubblica con lo 0,8 %, i Comuni con un corposo 25%: una sproporzione eccessiva, sostanzialmente insostenibile.

Per non parlare poi delle decisioni prese sui costi della politica: si e’ preferito tagliare le indennità dei sindaci o i gettoni di presenza dei consiglieri di circoscrizioni (20 euro a seduta!) arrivando ad eliminarli, anziché intervenire sugli stipendi dei manager pubblici, remunerati con cifre a cinque o sei zeri.

Per cercare di risollevare i Comuni e’ stata poi introdotta l’Imu, un’imposta municipale che di municipale ha solo il nome, visto che buona parte delle entrate rimarrà nelle casse dello stato centrale e quelle che rimarranno ai comuni saranno esattamente tarate per compensare il taglio dei trasferimenti statali. Nessuna risorsa aggiuntiva quindi per i Comuni; e in più, il governo “minaccia” di aumentare le aliquote quest’estate, se il gettito della prima rata di giugno non si rivelerà sufficiente. Tutto alle spalle dei Comuni.

Di fronte a questi dati non posso che chiedere alle forze economiche e sociali, anche del nostro territorio, di provare a fare insieme una battaglia che porti a realizzare in Italia un federalismo vero, e non quel “federalismo balbettante”, ad intermittenza, che ha accompagnato in questi anni il Paese, anche quando al Governo c’erano forze che ergevano una bandiera che ora sventola a mezz’asta.

Un federalismo nel quale si deve consentire agli enti locali virtuosi di poter investire le risorse a disposizione, nel quale i Comuni che hanno in cassa le risorse possano pagare i loro fornitori con tempi congrui. E tutto ciò e’ possibile solo riscrivendo il Patto di Stabilita’ interno e solo ripensando radicalmente il patto fra Stato ed autonomie locali, solo avendo in mente un federalismo sano.

Se davvero si vuole tornare a far crescere questo Paese, si deve ripartire innanzitutto da qui. Da quei Comuni che hanno fatto la storia dell’Italia quando questa non era ancora nazione, e che ora sono gli unici che possono consentire alla nazione di poter mantenere la sua coesione e farla ripartire.


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